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1. Breve storia del mercato dell'accesso ad Internet

Sin dall'inizio Internet ha mostrato la tendenza all'emancipazione. Negli immediati anni dopo la seconda guerra mondiale, scienziati chiave americani immaginano come i computer, nati per applicazioni militari e tecnocratiche comando-e-controllo command-and-control avrebbero potuto essere usati dagli individui come dispositivi di comunicazione (Licklider & Taylor 1968). Negli anni sessanta e settanta l'uso del computer, come strumento di emancipazione, ha fatto un ulteriore passo avanti quando la contro-cultura giovanile ha iniziato ad usare queste macchine contro la tecnocrazia dominante per decentralizzare il potere, portarlo al livello locale in modo da consentire l'emergere di comunità autonome (Kirk 2002; Turner 2006).

Già durante gli anni settanta e ottanta ingegneri e i primi hacker sperimentavano ed esploravano le potenzialità di queste nuove macchine. Ma solo negli anni seguenti, con il boom degli elaboratori personali e il diffondersi delle reti di computer, gli sforzi della società civile rivolti a democratizzare l'uso di queste tecnologie rivoluzionarie, si diffuse in modo rapido e capillare. Organizzazioni non governative (ONG) e gruppi di attivisti hanno iniziato a sviluppare le proprie reti di computer per coordinare e condividere le informazioni (Willetts 2010), le prime comunità in linea online si stabilirono nello spazio cibernetico cyberspace e la creazione del World Wide Web nel 1989 ha definitivamente aperto la porta alla diffusione dell'uso di Internet.

I tempi erano maturi per il lancio di innumerevoli iniziative che portarono i movimenti sociali, attivisti e cittadini comuni in questo nuovo mondo della comunicazione globale continua e istantanea. Stefania Milan, ricercatrice sociale che lavora sull'attivismo con i media, descrive la metà degli anni novanta come un'epoca di 'rinascita' per, come lei le definisce, le pratiche emancipatorie nel campo della comunicazione digitale. Facendo eco al movimento delle radio pirata di fine anni settanta e ottanta, Internet innesco' un movimento politico di attivisti tecnologici il cui obiettivo era 'di deviare la politica di chiusura e controllo messi in atto, dagli stati e dalle societa', nella sfera pubblica. Essi volevano realizzare 'una riforma strutturale a livello locale attraverso la creazione di spazi di comunicazione autonomi'. Videro Internet come uno spazio non-?posseduto?, libero e, come molti dei primi utenti Internet, condividevano il 'presupposto che lo spirito del commercio e un'onesta e democratica sfera pubblica, non si mischiano' (McChesney 2013, p.102).

Costruendo tecnologie emancipate 'dai servizi di comunicazione commerciale, intendevano dar potere ai gruppi della società civile per esprimersi, dar voce e mandare i propri messaggi senza filtri' (Milano 2013, p. 10). Per farlo, questi 'esperti radicali di tecnologia' radical techies implementarono la sicurezza delle email, servizi di hosting, così come innovativi strumenti di pubblicazione sul web. Cercarono di promuovere flussi informativi senza ostruzioni quale garanzia per l'autonomia politica — una filosofia che è stato descritta come 'liberalismo informativo' informational liberalism (Loveluck 2012) — e di sovvertire la legge sulle comunicazioni (ad esempio legge sulla stampa, diritto d'autore) per sfidare l'egemonia delle élite politiche, dei mezzi di comunicazione e quelle commerciali, impegnandosi in pratiche di ‘cittadinanza in rivolta' insurgent citizenship nella sfera pubblica (Tréguer 2013). Infine assorbirono il modello originale di ethos e di governo di Internet: una rete tra pari che comunicano liberamente su un'architettura estremo a estremo "end-to-end" decentralizzata,, esercitando il controllo dal basso verso l'alto degli strumenti utilizzati per la comunicazione, in particolare attraverso l'uso di software libero (Coleman 2005) .

L'infrastruttura di questo governo dal basso verso l'alto si raggiunse con l'arrivo dei primi fornitori locali di accesso ad Internet. In quanto attivisti tech organizzarono di far uso dell'imminente rete di gestori telefonici per fornire l'accesso a Internet. In Francia, un piccolo gruppo di appassionati di Internet fonda gia' dal 1992 la French Data Network (FDN). Anche se tra i gruppi più attivi, questa era solo una delle reti delle varie comunità locali, piccole aziende o enti senza scopo di lucro che lavoravano per dare accesso a Internet a una specifica comunita'. I membri FDN pagavano un canone di 120 franchi (intorno ai €18) al mese più il costo telefonico per collegarsi al modem FDN che a sua volta li connetteva all'Internet globale. Per trasportare il traffico alla rete globale, FDN contratta una delle proposte d'affari di France Telecom che erano state sviluppate per fornire banda larga a una molteplicita' di reti chiuse di computer, come Minitel per esempio. FDN fu così in grado di acquisire grandi blocchi di indirizzi IP e di ottenere un collegamento a Internet alla velocità di 32 kilobit al secondo, con uno dei pochi ‘transit operators'. (gli operatori di transito gestirscono dorsali backbones networks del mercato business-to-business per fornire connessioni Internet da utente a rete upstream ad altre organizzazioni) .

A differenza di molti ISP 'fornitore di servizi Internet' convenzionali che gestiscono walled gardens 'giardini tra mura' (es. AOL o CompuServe), FDN forniva agli utenti i loro propri indirizzi IP e servizi e-mail configurabili. Gestiva anche un server di condivisione file sharing da cui i membri potevano scaricare software libero per gestire il loro modem e configurare le loro connessioni. La Comunita' FDN ha contribuito a quel software scrivendo pezzi di codice e traducendo documentazione tecnica e manuali inglesi per renderli più accessibili al pubblico francese. In altri paesi europei, si svilupparono simili imprese anche se la maggior parte di loro scomparve verso la fine degli anni novanta quando il mercato degli ISP commerciali si espanse (diversamente FDN).

Nonostante la sua influenza sull'evoluzione di Internet, quello spirito costitutivo di emancipazione da allora è stato pesantemente contestato. Agli inizi del 2000, non solo era diventato chiaro che gli Stati avevano sicuramente i mezzi per attuare il controllo sociale in rete, divenne anche ovvio che invece di una disfatta per le multinazionali, Internet in realta' sarebbe potuta diventare il loro nuovo campo di battaglia. Di pari passo con l'accentramento crescente e la propensione sempre più oligopolista del settore dei servizi online — con colossi come Apple, Microsoft o Google che compaiono tra le cinque più grandi multinazionali in termini di valore di mercato —, il mercato delle telecomunicazioni ha anche avuto un rapido processo di espansione e concentrazione come risultato di guasti normativi, provocando l'accaparramento delle infrastrutture di aziende di telecomunicazioni.

Questo crescente accentramento spiega perche' gli obiettivi della politica UE per la diffusine della banda larga e la qualita' del servizio, rimane una realta' lontana: più di un terzo delle famiglie europee non ha ancora nessun accesso alla banda larga (39%) e, in un paese come la Grecia, la diffusione della banda larga è solo del 56% (Commissione UE 2013). Un quinto dei cittadini dell'UE senza accesso Internet sostiene di essere scoraggiato puramente dal costo del servizio (2013 Commissione UE): l'offerta a banda larga più economica puo' arrivare a €46,20 a Cipro, €38,70 in Spagna o €31,40 in Irlanda (2014 Commissione UE). Intanto agli utenti non viene fornito il servizio per cui hanno pagato: in media, ottengono solo il 75% della velocità di banda per cui hanno firmato; il 63% quando e' attraverso ADSL piuttosto che via cavo o fibra ottica (SamKnows 2013) – i numeri peggiorano nelle aree rurali.

Forse più importante, l'accentramento ha condotto ad una perdita di autonomia politica per gli utenti Internet, dove autonomia si riferisce alla capacita' di un individuo di fare scelte e determinare il corso della sua vita, libero da forze manipolative esterne (Christman 2011). Come Yochai Benkler (2006) spiega nel suo libro fondamentale, La ricchezza della Rete, l'autonomia è influenzata negativamente dall'accentramento e dall'aumentato controllo dall'alto al basso top-down sulle risorse di comunicazioni:

Tutti le parti del processo decisionale che precede l'azione e quelle azioni che sono esse stesse spostamenti comunicativi o richiedono la comunicazione come precondizione per l'efficacia, sono parte dall'ambito dati e comunicazioni che noi ccupiamo quali agenti. Condizioni che causano guasti a tutte queste giunzioni, che pongono strozzature, errori di comunicazione o anche ? fornire opportunità di manipolazione attraverso un? gatekeeper nell'ambito dati, creano minacce per l'autonomia democratica degli individui in quell'ambiente. La situazione dell'ambito dei dati e la distribuzione del potere all'interno di esso per controllare i flussi informativi da e verso i singoli, sono, come abbiamo visto, il prodotto possibile di una combinazione di tecnologia, comportamenti economici, modelli sociali e struttura istituzionale o legge (2006, p. 159).

L'accentramento delle architetture Internet ha dato a pochi attori Internet un immenso potere sul governo della comunicazione via Internet, minando cosi' valori molto democratici che Internet stava promuovendo. Per i servizi online ossia la 'nuvola'- a.k.a. the cloud— così come per i dispositivi che utilizziamo per accedere a questi servizi, molti studenti sono stati informati del veloce processo di accentramento, attualmente in corso sotto l'influenza di aziende in cerca di profitti.(Zittrain 2008; Zhang et al., 2010; McChesney 2013). Dispositivi e applicazioni stanno diventando meno generative man mano che l'ecosistema si allontano dal General-Purpose a personal computer portatili, tablet, smart-phone e altri terminali 'legati' la cui unica funzione è quella di accedere alle applicazioni del cloud preselezionato e fornite da una manciata di fornitori di servizi. Come risultato di questa tendenza uno dei principi fondanti di Internet — il principio estremo a estremo end-to-end— è gradualmente compromesso, poiche' la maggior parte dell'intelligenza della rete si sta allontanando dagli end-point verso aziende dominanti e fornitori di servizi.

Una tendenza simile si riscontra anche a livello di infrastruttura, in un contesto dove gran parte dell'infrastruttura della rete ora e' di propieta' e controllato da alcuni ISP accentrati. Storicamente, le reti Internet sono state considerate tubature neutre o 'semplici condutture'. In linea con il principio end-to-end, il ruolo degli operatori di rete era semplicemente quello di fornire dati con una consegna efficiente e conforme al principio di 'neutralità della rete ' (cioe' la consegna omogenea di ogni pacchetto di dati, senza alterare o discriminare un tipo di traffico rispetto ad altri). Oggi, tuttavia, la neutralità della rete (a volte riassunta col motto ispirato alla Costituzione «tutti i bit sono creati uguali») è progressivamente minata dagli ISP che incombono. Ciò è dovuto non solo agli incentivi economici a questi attori(Asghari, et al 2013; Belli & De Filippi 2014; Musiani et al 2013), ma anche agli incentivi normativi per filtrare contenuti online sotto la pressione dei funzionari pubblici (Mueller 2010).

Questo ha portato a una cultura di 'privatizzazione forzata', con gli attori privati che arbitrariamente determinano i limiti alla libertà di espressione e la loro implementazione, come essi ritengono idoneo (bloccando ad esempio contenuti pornografici anche se legali). Mentre c'e' generalmente scarsa trasparenza per quanto riguarda i siti web e i contenuti bloccati dagli ISP, il rischio di filtrare o censurare accidentalmente materiale legittimo è tecnicamente inevitabile e, in pratica, piuttosto comune (Bradwell et al 2012).

Un altro esempio di come operatori delle telecomunicazioni dominanti potrebbero minare l'autonomia degli utenti e' con la loro collaborazione con le agenzie di sicurezza per scopi di sorveglianza — essendo la privacy una componente fondamentale dell'autonomia (Bernal 2014). Nel contesto geo-politico post 2001 come evidenziato dalle rivelazioni in corso sulle pratiche della NSA National Security Agency negli US, gli Stati sono ora impegnati in una massiccia e a volte illegale sorveglianza delle comunicazioni Internet mediante l'istituzione di accordi pubblico-privato con gestori di telecomunicazioni (Deibert 2013; Ball et al., 2013).

1. A short history of the Internet access market

Since its early days, the Internet has followed a trend of emancipation. As early as the immediate post-World War II years, key American scientists envisioned how computers, originally built for military and technocratic command-and-control applications, could be used by individuals as communications devices (Licklider & Taylor 1968). In the 1960s and 70s, the use of computers as a tool for emancipation went a step further when the counter-cultural youth began using these machines against the ruling technocracy to decentralize power, bring it down to the local level, and allow for the emergence of autonomous communities (Kirk 2002; Turner 2006).

Already during the 1970s and 80s, engineers and early hackers were experimenting with and exploring the potential of these new machines. But it is only in the following years, as personal computing boomed and the computer networks spread, that efforts from civil society to democratize the use of these revolutionary technologies went viral. Non-Governmental Organizations (NGOs) and activist groups started developing their own computer networks to coordinate and share information (Willetts 2010), the first online communities settled on cyberspace, and the creation of the World Wide Web in 1989 finally opened the door to widespread Internet use.

The time was ripe for the launch of countless initiatives bringing social movements, activists and general citizens into this new world of global, seamless and instantaneous communications. Stefania Milan, a social researcher working on media activism, describes the mid 1990s as an era of ‘renaissance’ for what she calls ‘emancipatory communication practices’. Echoing the pirate radio movement of the late 1970s and 80s, the Internet sparked a political movement of tech activists whose aim was ‘to bypass the politics of enclosure and control enacted by states and corporations’ on the public sphere. They wanted to achieve a ‘structural reform at the grassroots level through the creation of autonomous spaces of communication’. They saw the Internet as an un-owned space and, as many early Internet users, shared the ‘assumption that commercialism and an honest, democratic public sphere do not mix’ (McChesney 2013, p.102). By building technologies emancipated ‘from commercial communication services, they aimed to empower civil society groups to articulate, voice and convey their own messages without filters’ (Milan 2013, p.10). To do so, these ‘radical techies’ implemented secure emailing and free hosting services, as well as innovative web-publishing tools. They sought to promote unhindered information flows as a guarantee for political autonomy—a philosophy that has been described as ‘informational liberalism’ (Loveluck 2012)—and to subvert communications law (e.g. press law, copyright) to challenge the hegemony of political, media and business elites, engaging in practices of ‘insurgent citizenship’ in the public sphere (Tréguer 2013). Finally, they assimilated the Internet’s original ethos and governance model: a network of equal peers communicating freely on a decentralized, end-to-end architecture, exerting bottom-up control on the tools used for communicating, in particular through free software (Coleman 2005).

At the infrastructure level, this bottom-up governance was achieved through the deployment of the first grassroots Internet access providers, as tech activists organized to make use of the incumbent telephone carriers’ network in order to provide access to the Internet. In France, a small group of Internet hobbyists set up the French Data Network (FDN) as early as 1992. Though it was among the most active groups, this grassroots community network was only one of several small companies or nonprofit entities working to grant access to the Internet to a specific community. FDN members paid a fee of about 120 francs (around €18) a month plus the cost of telephony to call into the FDN modem, which in turn connected them to the global Internet. To carry its traffic to the global network, FDN contracted one of France Telecom’s business offerings that had been developed to provide bandwidth to a variety of closed computer networks, such as Minitel for instance. FDN was thus able to acquire large batches of IP addresses and to obtain an uplink to the Internet at the speed of 32 kilobits per seconds with one of the few ‘transit operators (transit operators manage backbones networks in the business-to-business market to provide Internet upstream connections to other organizations). As opposed to many mainstream ISPs that operated ‘walled-gardens’ (such as AOL or CompuServe, for instance), FDN provided users with their own IP addresses and configurable email services. It also ran a file-sharing server from which members could download free software to manage their modem and configure their connection. The FDN community contributed to that software by writing bits of code, and translated English technical documentation and tutorials to make them more accessible to a French audience. In other European countries, similar endeavors were developed, although most of them vanished when the commercial ISP market boomed in the late 1990s (unlike FDN).

In spite of its influence on the evolution of the Internet, this founding spirit of emancipation has since been heavily contested. By the early 2000s, not only had it become clear that states have indeed the means to enforce social control online, it also became obvious that rather than crushing down multinational corporations, the Internet could actually become their new battlefield. Along with the growing concentration and increasingly oligopolistic outlook of the online service sector—with giants such as Apple, Microsoft or Google, which all rank among the five largest global corporations in terms of market valuation—, the telecoms market has also gone through a rapid process of expansion and concentration, as regulatory failures resulted in the corporate capture of telecom infrastructures.

This growing centralization explains why EU policy targets for broadband penetration and quality of service remain a distant reality: more than a third of European households still have no broadband access (39%) and, in a country such as Greece, broadband penetration is as low a 56% (EU Commission 2013). A fifth of EU citizens with no Internet access say they are deterred by the sheer cost of it (EU Commission 2013): the cheapest available broadband offer can be as high as €46.20 in Cyprus, €38.70 in Spain or €31.40 in Ireland (EU Commission 2014). Meanwhile, users are not provided with the service they paid for: on average, they only get 75% of the broadband speed they signed up for; 63% when they get it through ADSL rather than cable or fiber lines (SamKnows 2013) – and the numbers are even worse in rural areas.

More importantly perhaps, concentration has led to a loss of political autonomy for Internet users, where autonomy refers to the ability for an individual to make choices and determine the course of her life, free of external manipulative forces (Christman 2011). As Yochai Benkler (2006) explains in his seminal book, The Wealth of Networks, autonomy is adversely affected by concentration and increased top-down control over communications resources:

All of the components of decision making prior to action, and those actions that are themselves communicative moves or require communication as a precondition to efficacy, are constituted by the information and communications environment we, as agents, occupy. Conditions that cause failures at any of these junctures, which place bottlenecks, failures of communication, or provide opportunities for manipulation by a gatekeeper in the information environment, create threats to the democratic autonomy of individuals in that environment. The shape of the information environment, and the distribution of power within it to control information flows to and from individuals, are, as we have seen, the contingent product of a combination of technology, economic behavior, social patterns, and institutional structure or law (2006, p. 159).

Centralisation in Internet architectures has given a few Internet actors immense power over the governance of Internet communication, thereby undermining the very democratic values that the Internet was to foster. For online services—a.k.a. the ‘cloud’—as well as the devices we use to access these services, many scholars have warned against the fast-paced process of centralization currently taking place under the influence of profit-seeking corporations (Zittrain 2008; Zhang et al. 2010; McChesney 2013). Devices and applications are becoming less and less generative as the ecosystem shifts away from general-purpose personal computers to laptops, tablets, smart-phones and other ‘tethered’ terminals whose sole function is to access preselected cloud applications provided by a handful of service providers. As a result of this trend, one of the founding principles of the Internet—the end-to-end principle —is gradually jeopardized as most of the network intelligence is moving away from the end-points towards dominant manufacturers and service providers.

A similar trend is happening at the infrastructure level as well, in a context where much of the network infrastructure is now owned and controlled by a few centralized ISPs. Historically, Internet networks have been regarded as neutral pipes or ‘mere conduits’. In line with the end-to-end principle, the role of network operators was merely to provide efficient data delivery in accordance with the ‘network neutrality’ principle (i.e. the homogeneous delivery of all data packet, without altering or discriminating one type of traffic over others). Today, however, network neutrality (sometimes summed up by the motto inspired by constitutional law that ‘all bits are created equal’) is being progressively undermined by incumbent ISPs. This is due not only to these actors’ economic incentives (Asghari, et al. 2013; Belli & De Filippi 2014; Musiani et al. 2013), but also to regulatory incentives to filter online content under the pressure of public officials (Mueller 2010). The latter have led to a culture of ‘privatised enforcement’, with private actors arbitrarily determining the limits to freedom of expression and implementing them as they see fit (by blocking, for example, pornographic but nonetheless legal content). While there is generally little transparency regarding the websites and content blocked by ISPs, the risk of accidentally filtering or censoring legitimate material is technically inevitable and, in practice, fairly common (Bradwell et al. 2012).

Another example of how dominant telecom operators might undermine users autonomy is through their collaboration with intelligence agencies for surveillance purposes—privacy being a core component of autonomy (Bernal 2014). In the post-2001 geopolitical context, and as evidenced by the ongoing revelations on the practices of the NSA in the US, states are now engaging in massive and sometimes illegal surveillance of Internet communications by establishing private-public partnerships with telecom operators (Deibert 2013; Ball et al, 2013).